mercoledì 30 luglio 2025

Quel Dio che “fa schifo”?

 

Quel Dio che “fa schifo”? Un dialogo mancato tra Choam e la metafisica tomista







Choam, uno che non le manda a dire, ha risposto ad Adriano Virgili con un video che in rete ha fatto discutere parecchio. Nella sua risposta c’è ironia tagliente, un fondo di filosofia naturalista, e una rabbia che non finge distacco, il tutto condito da una schiettezza che non fa sconti. Virgili, dal canto suo, aveva difeso il cuore del teismo classico, cercando di mostrare che molte accuse rivolte a Dio nascono da malintesi di fondo, non da veri argomenti. Avendo letto questo confronto a distanza, e i vari commenti lasciati sui social da diversi utenti interessati, dico la mia utilizzando questo mio blog. In fondo a questo articolo troverete un paio di link che rimandano a tale discussione.

A guardare bene, la frattura tra i due non è su un dettaglio teologico, ma su due metafisiche inconciliabili. Da un lato Choam, che dichiara senza esitazione: “La natura basta a se stessa. Non ho bisogno di Dio per spiegare nulla”. Dall’altro Virgili, che vede nel mondo segni evidenti di contingenza, di qualcosa che non si spiega da sé e che chiede un fondamento ultimo, un “perché” più radicale. È qui che riaffiora una vecchia questione: il Dio dei filosofi è davvero lo stesso delle Scritture?

Choam punta il dito: “Il Dio della metafisica di Tommaso non è lo stesso Dio del catechismo e delle Scritture. Da una parte un Essere perfetto e immobile, dall’altra un Dio che agisce, ordina, punisce, persino si fa uomo. Come fanno queste due immagini a stare insieme?”. L’obiezione è vecchia, ma pungente. La risposta della tradizione cattolica non è un raddoppio di divinità, ma un’unica sintesi: il Dio trascendente, eterno e immutabile può agire nel tempo senza contraddirsi, perché la sua azione non è un “cambiamento” in Lui, ma l’effetto di una volontà eterna che entra nella storia. Pensiamoci: se Dio è davvero infinito, ridurlo a una “persona” che prova emozioni come noi sarebbe un impoverimento, non un arricchimento. La teologia parla per analogia: quando diciamo che Dio “ama”, intendiamo qualcosa di più grande dell’amore umano, non di meno.

Sulla questione del bene e del male Choam non ci gira attorno: “Se Dio permette che i bambini soffrano, eppure si definisce ‘buono’, allora quel Dio mi fa schifo. Punto.” È una protesta viscerale, comprensibile, ma , dice Virgili, colpisce un bersaglio sbagliato. Il teismo classico non afferma che Dio sia “buono” come lo è un infermiere che allevia il dolore. Dio è “buono” perché è la sorgente di ogni bene, la pienezza dell’essere stesso. Non è che Dio “sceglie” il bene: è il Bene, nel senso ontologico e non soltanto morale. Questa prospettiva può sembrare fredda, persino spietata, ma è una distinzione decisiva. Senza questa differenza, il ragionamento di Choam (“un Dio che non impedisce il dolore è malvagio”) suona logico, ma è un sillogismo che parte da premesse umane e finisce per giudicare l’Infinito con il metro di un tribunale terrestre.



Passiamo ora al naturalismo di Choam: “Basta la natura”, dice. Choam rivendica una metafisica “minimalista”, che prende atto della natura così com’è, senza porsi ulteriori domande:

“Perché esiste qualcosa anziché nulla? Perché sì. Non mi serve un Dio per spiegare la realtà. Gli enti naturali sono lì e basta. Sono necessari per il solo fatto di esserci.” Ma qui sorge un problema logico. Dire che “la natura è necessaria perché c’è” non è una spiegazione, ma un atto di fede laico, un prendere per buono il dato di fatto. Il tomismo, invece, non “aggiunge” un Dio come un orpello, ma cerca di capire perché il mondo non sia nulla. E per farlo, distingue tra “ciò che esiste per sé” (Dio) e ciò che potrebbe anche non esserci (tutte le cose finite e mutevoli).

Choam ammette che la sua etica nasce dall’empatia, dall’istinto naturale che ci fa soffrire per il dolore altrui. Non pretende di fondare un’etica universale: “Io non posso dimostrare come un teorema che Gandhi era una brava persona e Hitler un criminale”. È una posizione onesta, certo. Ma anche un po’ pericolosa: senza un fondamento, che valore ha dire che qualcosa è ‘ingiusto’? L’indignazione morale di Choam – che tutti noi sentiamo – presuppone che esista un bene e un male oggettivo. Ma questo bene e male, se non c’è una legge morale scritta nella struttura stessa dell’essere, sono solo gusti personali. Il naturalismo, alla fine, non può dire “questo è giusto” ma solo “questo mi piace” o “mi fa orrore”.

Quindi , e la provocazione è ai credenti, crediamo a un Dio “indifferente”? La provocazione finale di Choam è diretta: “Se Dio non interviene per fermare la sofferenza, ma continua a tenere in vita le creature che soffrono, allora è indifferente, e i credenti vengono presi in giro da un sistema che racconta un Dio buono ‘come lo intendiamo noi’, mentre invece è solo un Dio dell’essere che non si cura di nulla.” Qui c’è un punto vero: c’è uno scarto tra la percezione “popolare” di Dio e la teologia più profonda. Molti pregano immaginando un Dio che “aggiusta” la vita come un tecnico pronto a risolvere ogni guasto. Si dovrebbe formare meglio la gente? Certamente si. Ma questo è un altro tema. La fede cristiana non è mai stata questa. Al centro c’è un Dio che entra nel dolore del mondo, non per eliminarlo magicamente, ma per trasformarlo dall’interno, come avviene nella croce di Cristo.


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Per concludere, direi di aver letto un dialogo che manca di un passo. Il merito di Choam è di non girare intorno alle parole: il male ci scandalizza, e qualsiasi filosofia che non ne tiene conto diventa disumana. Ma il problema di fondo è un altro: Choam rifiuta un Dio che non esiste, un Dio sadico e indifferente che nessun tomista riconoscerebbe. E, allo stesso tempo, difende un’etica che si nutre – senza dirlo – di categorie morali che derivano proprio dalla tradizione giudaico-cristiana. Forse la vera sfida non è stabilire chi ha l’ultima parola, ma se siamo disposti a discutere senza ridurre l’altro a una caricatura. Virgili rischia, a volte, di apparire professorale. Choam, dal canto suo, rischia di scambiare la propria indignazione per una confutazione logica. In mezzo c’è lo spazio di un dialogo che potrebbe ancora sorprendere entrambi.


Link di riferimento:


https://www.youtube.com/watch?v=TMzNv7HoMq0


https://www.adrianovirgili.it/contra-sentimentalismum-moralem-o-sulla-differenza-tra-filosofia-e-moto-di-stizza/



secondolescritture@gmail.com


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