Dio o Watchtower? Una confusione voluta
Criticare la Watchtower non equivale a criticare Geova. Lo so, sembra una banalità, ma per molti Testimoni di Geova questa distinzione non esiste. Non per colpa loro, ma perché così gli è stato insegnato. È una sovrapposizione sistematica: organizzazione e divinità, fuse in un’unica entità inscindibile.
E se sei un Testimone che per caso sta leggendo queste righe, ti faccio una domanda semplice: ti è mai capitato, durante un’adunanza, di porre un dubbio e ricevere solo imbarazzo? Qualcosa come un sorriso forzato, una frase generica tipo “confida in Geova”, e poi il gelo? Se sì, non sei solo. Davvero.
CCP: una riforma che riforma solo te
I Testimoni di Geova affondano le radici nell’avventismo, un ramo apocalittico nato nel cuore del protestantesimo americano. E no, non hanno aderito alla Riforma in senso stretto. Ma a una riforma del pensiero? Quella sì, eccome. Parlo di un meccanismo in tre fasi che possiamo riassumere con un acronimo: CCP – Condizionamento, Controllo, Prigionia. Tre parole che, nella pratica, descrivono come si assimila un cambiamento dottrinale all’interno dell’organizzazione.
1. Condizionamento
Prendiamo un esempio recente: la barba. Un tempo vista come simbolo di ribellione o mondanità, ora è tollerata. Le riviste Watchtower non danno risposte concrete ma piuttosto generiche che minimizzano le affermazioni precedentemente fornite. Anzi: davanti a chi esprime qualche perplessità esortano a pregare, a riflettere sull’insondabile saggezza di Dio, a sottomettersi con umiltà e bla bla bla. In sostanza: “Se hai difficoltà ad accettare un cambiamento, non è il cambiamento il problema. Sei tu.”
Ecco la trappola: trasformare un disagio logico in un problema spirituale.
2. Controllo
Potremmo chiamarla deviazione divina. Il cambiamento viene attribuito non al Corpo Direttivo, ma a Geova. Come se Dio in persona avesse deciso di modificare una norma. Così, ogni critica suona come eresia, ogni domanda come ribellione. È un meccanismo raffinato per rendere intoccabile l’autorità... scaricandola sul cielo.
3. Prigionia
Infine, arriva la gabbia dorata: le Scritture. Spesso viene citato Romani 11:33-36:
“ 33 O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34 Infatti, "chi ha conosciuto la mente del Signore, o chi è stato suo consigliere?". 35 O chi gli ha dato per primo, così che gli debba essere ricambiato?". 36 Poiché da lui, e per mezzo di lui, e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria per sempre. Amen “ - TNM
Frasi potenti, certo. Ma fuori contesto. Paolo non giustifica decisioni umane mascherate da ordini divini. Sta cantando la misericordia di Dio verso Israele, non imponendo silenzio. Eppure, questo passo viene usato per soffocare ogni dubbio. Non per insegnare, ma per tacitare.
Il nodo: identità e autorità
Alla radice di tutto, c’è un’illusione pericolosa: l’equazione Dio = Watchtower. Nei testi ufficiali, la fedeltà all’organizzazione è presentata come sinonimo di fedeltà a Dio. Ma nei Vangeli, la fede è anche domanda. I discepoli interrogano Gesù. Gesù stesso pone domande, persino a Dio. E nessuno li zittisce.
Nel modello Watchtower, invece, ogni dubbio è già colpa. Un primo passo verso il peccato. È lo stesso meccanismo che si trova in altri contesti religiosi estremi, che siano evangelici fondamentalisti o frange ultratradizionaliste cattoliche. L'autorità si sacralizza, prende il posto di Dio stesso. E il risultato? Si obbedisce all'istituzione, pensando di obbedire al cielo.
“Umiltà” o silenzio forzato?
L’umiltà, nel vocabolario ufficiale, non è la disponibilità a essere corretti o a imparare. È arrendersi. È stare zitti. È accettare decisioni calate dall’alto anche quando non convincono, anche quando feriscono. Chi prova a fare una domanda, viene spesso trattato come un problema. Colpevolizzato, isolato, in alcuni casi... spinto all’uscita. Chi mette in discussione l’organizzazione, finisce per essere considerato come uno che rifiuta Dio stesso. Perché? Perché non gli è mai stato permesso distinguere tra i due.
Un invito alla libertà spirituale
Questo articolo non è un attacco a Dio. È un appello al pensiero critico. È un incoraggiamento per chi è dentro
e comincia a farsi delle domande, o per chi è uscito ma si porta addosso il senso di colpa.
Domandare non è peccato. Dubitare non è tradimento. Non lasciarti ammutolire da versetti usati come gabbie. Dio non ha paura delle tue domande. Un comitato direttivo, forse, sì.
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